martedì, novembre 30, 2004

Live in London : Ed Harcourt

Avevo scritto tutto. File danneggiato. Illeggibile.
Non scriverò più del Madame Jojo’s, cuore di Soho, Brewer Street London.
Del freddo di una domenica di novembre.
Degli immancabili fliers all’ingresso.
E della doccia fredda del sold out.
Per Ed Harcourt?
Più o meno, un emerito sconosciuto da queste parti.Quelle italiane intendo.
Del tentativo di commuovere la cassiera con la storia del fan italiano che viene apposta per il concerto. Miseramente fallito.
Dell’insopportabile bagarino che vuol farti credere di essere afflitto perché non potrà restare ubriaco tutta la notte se non vende i biglietti al doppio del loro prezzo.
Dei buttafuori- buttadentro, stronzi come al solito, stronzi dappertutto.
Che scrutano come scimmie in cerca di banane, e che estraggono soddisfatti la bottiglietta d’acqua che era passata indenne alla Tate Gallery e, finanche, al giorno della Rimembranza.
Che si facciano il bidet e se la bevano pure!
Del solito club londinese.
Ma come cazzo è fatto un club londinese?
Deve essere piccolo? Squallido? Divani sotto l’aria condizionata? Fumo e solo alcool al bar?
Non scriverò, di nuovo, dei “The magic numbers”, il gruppo che apre il concerto, brutto nome qualche applauso per musica in stile Badly Drawn Boy, adipe e peluria compresa.
E non ho più neanche voglia di scrivere dello stesso Ed Harcourt che si danna per un’ora e mezza, tra vibrati alla Tim o Jeff Buckley, e la ruggine di Tom Waits, tra glamour e psichedelia, tra la tenerezza di canzoni acustiche e la ruvidità di chitarre incontrollate. E si danna, ancora di più, ad abbattere le leggi della fisica, tentando di sistemare otto musicisti in un micropalco per solisti, e a fare sentire il suono del violino con una batteria che copre, indecentemente, qualunque altro suono.
Generoso, comunque. Ottimo musicista. Buoni ascolti. Ma gli mancano i gioielli, la pazzia e il dono dell’originalità.
Domenica 14 novembre 2004 , Londra
Ed Harcourt voto : 6

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